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Quest’inverno è stato rigido come pochi. Riparati e riscaldati dal forno del pane che sovrasta la redazione del nostro giornale ci siamo messi al lavoro. “Come acrobati sul filo, che mantengono la stabilità mediante continue correzioni dello squilibrio”, abbiamo dipinto per alcuni mesi pale di nessun altare. Santi in cerca di sacro. Il risultato finale è iCone, la nostra mostra che inaugurerà questo venerdì alle 18:30 nella galleria Hde di piazzetta Nilo 7 (e visitabile fino al 5 aprile). Abbiamo cercato di dipingere mischiando rigore e immaginazione: ché il rigore da solo è la morte per paralisi, l’immaginazione da sola è la pazzia. Quelle che sono venute fuori sono immagini cupe, inquietanti a detta di qualcuno. Almeno come quanto stiamo vivendo negli ultimi anni. Più di questo non ci sentiamo di dire, e a quanti insistono rispondiamo con Isadora Duncan, pioniera della danza moderna, che una volta rispose così a chi le chiedeva di spiegare una sua esibizione: «Se potessi dire che cosa significa, non avrei bisogno di danzarlo».

Per questo chiediamo a giornalisti e critici che vogliano prendere in considerazione questi nostri lavori, di sforzarsi di fare a meno di comunicati stampa, volantini, interviste. Li invitiamo per una volta ad andare oltre la propria scrivania, guardare le opere e, solo se è il caso, scriverne qualcosa. A dirla tutta, dai giornalisti ci aspettiamo ormai veramente poco. È ai critici, agli scrittori, che rivolgiamo l’invito a superarsi, scrivendo come se le proprie righe siano un’ulteriore opera da contemplare. O utilizzare il silenziatore. Perché non si sente più nessun bisogno di sterili trafiletti, articoli copiati e incollati: re-censioni. Ciò di cui abbiamo bisogno è una critica sincera, capace di raddrizzare il tiro se è il caso, che ci colpisca al cuore senza chiassosi proiettili a salve. (cyop&kaf)