Miniera, Sant’Antonio Pulcinella

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Sant'antonio pulcinella

Sant’antonio pulcinella

Sabato 21 Febbraio 2015, alle 18:00 con lo spettacolo Sant’Antonio Pulcinella inaugura Miniera, spazio per le arti. Guarrattelle di Bruno Leone, musiche di Davide Chimenti. Ingresso gratuito, uscita a cappello.

Per riunirsi attorno a un fuoco – fino a non moltissimi anni fa – servivano due cose: un braciere e del carbone. A vico Giardinetto, giusto in mezzo ai Quartieri Spagnoli, in uno dei tanti vuoti sovrastato dai pieni dei palazzi, il gravunaro lo vendeva a secchi. Possiamo immaginarlo, nero fin nelle pieghe rugose di un volto affumicato dalla continua immersione nella fuliggine. Possiamo – osando – perfino addentrarci oltre le corde vocali graffiate, varcare la dogana tracheale e infilarci nel buio totale dei suoi polmoni. Una volta giunti lì, dove il respiro è tangibile e l’affanno dietro l’angolo, sentiremmo grumoso catrame farsi largo tra i soffi ritmati d’ogni espi(r)azione.

Non moltissimi anni dopo – dicendo all’inverso –, mentre comparivano termosifoni, gas di città, condizionatori (termici e mentali), faceva la sua scomparsa il focolare domestico, portando con sé il carbone con tutti i carbonari. La pozza nera venne ricoperta e dimenticata, al 22 di vico Giardinetto.

Almeno fino a quando Salvatore, che a quel civico, rasoterra, ha la sua bottega di falegnameria, non scopre che alzando una botola si accede a un buco nero riempito di spazzature fino al confine con la luce. Così, quello che era l’anfratto del gravunaro viene – poco a poco – ripulito dalla caparbietà del falegname. Una scala di grossi mattoni scende sottoterra, in quello che sembrerebbe un accenno di miniera. Grossi basoli vengono alla luce. Le pareti, annerite, ci narrano una o mille storie.

Geppetto contemporaneo, come si è autodenominato Salvatore, è come il carbone che chiede di bruciare. Ha un potenziale energetico depositato che sta –  anch’esso – venendo fuori poco alla volta. In questi anni ha trasformato la sua bottega – senza mai abbandonare la sua vocazione originaria – cimentandosi prima con la scultura, poi con la pittura. Qualche tempo fa ha voluto farmi leggere dei testi che aveva scritto quando era in carcere. Brevi considerazioni ma anche testi più lunghi che ha poi continuato a scrivere una volta fuori.

Ecco, noi crediamo che questo potenziale vada sprigionato. Crediamo che il confronto aperto con la città possa incrinare le barriere che tengono separate le caste di Napoli. Sentiamo, forse sbagliando, che la mescolanza possa dar vita a nuove forme di convivenza. Senza condizionali.

Per questo le sedie ce le presta la parrocchia di San Matteo, qualche birra da poter vendere e far entrare qualche soldo per gli avvenimenti a venire ce le offre il Fuku bar di  piazza Rosario di Palazzo, Salvatore ripulisce la bottega e noi altri attacchiniamo locandine. Tenere assieme i mille pezzi in cui ci hanno separato non è cosa semplice. Si procede a tentoni nel buio pesto della Miniera dove finalmente metteremo gli artisti. Una galleria in senso letterale, senza uscite di sicurezza, dove la luce della fine del tunnel – ovemai dovesse farsi viva – sarà incapace d’accecarci.

Programmeremo, aperiodicamente, mostre spettacoli concerti. Miniera sarà il luogo dove la cultura è processo, non prodotto. (c&k)